6 aprile 2023 – «La sparizione dell’agenda rossa è il caso più emblematico dell’omertà di Stato. Già da molti anni c’è l’assoluta certezza che il suo trafugamento sia stato l’azione criminale non di esponenti della mafia ma di esponenti delle istituzioni. Per quanto accertato nei vari processi è certo che nel teatro della strage di via d’Amelio non fu presente nessun uomo di Cosa Nostra. Ma ciò che è accaduto è comunque assurdo da qualunque lato la si voglia vedere. E su questo aspetto (l’agenda ndr) i dubbi ingenerati dalle varie versioni di tanti testimoni istituzionali a me sembra producano l’effetto della lettera rubata di Edgar alla Poe: era sulla scrivania, visibile a tutti, ma nessuno se ne accorgeva».
Fabio Repici è il legale di parte civile di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, nel procedimento Borsellino Quater, e nello stesso ruolo tutela i figli di Adele Borsellino, sorella del giudice, nel processo sul depistaggio.
Avvocato Repici, quanto si sa, con certezza, sulla sorte dell’agenda rossa di Borsellino?
«Sulla sua sparizione ci sono alcuni elementi oggettivi di rilievo imponente: in particolare dal 2005 abbiamo le immagini e le fotografie di un uomo dello Stato che in mezzo alle fiamme e alle macerie di via D’Amelio si allontana dal luogo dell’esplosione tenendo in mano la borsa prelevata sulla autovettura utilizzata da Paolo Borsellino per arrivare sotto casa della sorella Rita e della mamma».
Siamo sicuri che in quella borsa ci fosse l’agenda? E, se sì, da cosa lo deduciamo?
«Sappiamo che vi era certamente l’agenda sulla base delle dichiarazioni di Agnese Borsellino e dei suoi figli. Sappiamo che su quell’agenda Borsellino, dal 23 maggio precedente (strage di Capaci) aveva annotato tutti i più gravi e riservati elementi di conoscenza che stava acquisendo sia su quella strage che sulle contiguità fra mafia e Stato. E poi sono plurime le evidenze che dimostrano come Borsellino non se ne fosse mai separato in quei 57 giorni e la custodisse con maniacalità, sempre con sè».
Ce ne racconti almeno uno…
«Nove giorni prima della strage trovandosi in albergo a Salerno dove era andato per fare da padrino di battesimo al figli di un suo giovane collega, non avendo trovato l’agenda aveva fatto mettere sotto sopra l’auto e a soqquadro l’albergo prima di ritrovarla».
Questo cosa ci deve indurre a pensare?
«Che per questo motivo la soppressione fisica di Paolo Borsellino non sarebbe stata sufficiente ad annullare la sua voce se non fossero anche scomparsi quei suoi preziosi appunti».
Torniamo all’uomo che prelevò la borsa. Chi era?
«È stato identificato già 18 anni fa, si chiama Giovanni Arcangioli ed era un ufficiale dei carabinieri in servizio a Palermo al tempo. Con la borsa in mano si allontana verso via dell’autonomia siciliana e siccome via D’Amelio è una strada a senso unico che termina contro un muro, si può sostenere che si sia diretto verso l’uscita».
La borsa poi ricompare. Dove?
«Viene rimessa sulla macchina a bordo della quale viaggiava il magistrato nonostante ci fossero ancora ritorni di fiamme. Quando viene repertata il 5 novembre del 1992 dal pm Cartella nell’ufficio di Arnaldo La Barbera alla squadra Mobile di Palermo, nella borsa non c’era l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Nella stanza di La Barbera, la stessa sarebbe arrivata nella tarda sera del 19 luglio 1992 portata in questura da un ispettore di polizia e abbandonata su un divano per tre mesi e mezzo».
Da quando a quando la borsa resta sul divano dell’ufficio del capo della squadra Mobile di Palermo?
«Dal 19 luglio 1992 al 5 novembre 1992».
Sembra incredibile…
«È assurdo».
Arcangioli ha subìto un processo per quella borsa, ma ne uscì prosciolto…
«È stato imputato come responsabile della sottrazione dell’agenda rossa ed è stato prosciolto dal giudice dell’udienza preliminare per non aver commesso il fatto».
Cosa racconta Arcangioli rispetto a quella foto e a ciò che gli si contestava?
«Cambia più volte versione su dettagli rilevanti. Dice di aver aperto la borsa in via D’Amelio insieme al magistrato Ayala e di aver visto che l’agenda rossa non c’era, ma Ayala esclude di averlo mai incontrato».
Quindi?
«Quindi, a mio avviso, bisogna ripartire da quella foto che ritrae questo ufficiale in borghese dirigersi verso l’uscita da via D’Amelio con la borsa di Borsellino in mano».
C’è poi il capitolo dei servizi segreti…
«Alcuni testimoni appartenenti alla polizia di stato hanno anche fatto riferimento alla presenza in via D’Amelio, subito dopo l’esplosione di esponenti dei servizi segreti, impegnati nella ricerca con scopi sicuramente illeciti dell’agenda rossa».
Lei che valore da a queste deposizioni?
«A mio modo di vedere le loro versioni sono suscettibili di essere valutate con ipotesi alternative. A voler tributare credibilità a quelle parole si dovrebbe ritenere che esponenti dei servizi segreti avvertiti della strage prima della sua esecuzione si siano fatti trovare pronti con l’obiettivo di far sparire l’agenda rossa. Per altro verso, però, bisogna – sempre a mio avviso – valutare il serio rischio che quelle parole possano costituire un volontario o anche solo involontario, depistaggio».
Giuseppe Legato (La Stampa)
L’articolo Via D’Amelio: “Non è stata la mafia a sottrarre l’agenda rossa di Borsellino. Troppe ombre, silenzi e amnesie dagli uomini delle istituzioni” proviene da 19luglio1992.com.
Fonte 19luglio1992.com